LIBRI / FRAGILI LEGAMI

1998, 120 p., brossura - Gruppo Edicom - Milano
foto di copertina di Enzo Ingallina

PREFAZIONE

Una linea continua – storie di piccole inquietudini quotidiane – è il binario lungo il quale, attraverso queste pagine, gli eventi si srotolano. E lungo questa linea, questo binario, è fissato un punto che, a poco a poco, prende spazio, si allarga, funge da pretesto al protagonista per darsi uno stop, un’opportunità per comprendere le storie che lo ingarbugliano, per cogliere il nesso che lega le persone tra loro o che le tiene lontane. Tutto questo per trovare, trovarsi, per darsi un’occasione e per correggere la rotta, se necessario.
Così Tommaso, il protagonista, ci accompagna in una piacevole esplorazione del mondo delle relazioni interpersonali, con la stessa cautela e la stessa curiosità con cui si entra in una casa un tempo abitata, cercando di capire chi possa averci vissuto ora muovendosi circospetto, spesso in attesa di un segnale o di un consiglio di un amico, che lo convinca di ciò che è buono fare per lui qui e adesso, altre volte con l’intuito di chi è capace di decidere senza “ma” e senza “se”, con sua stessa sorpresa. Sono questi i due aspetti della stessa persona, i due rovesci della stessa medaglia, che emergono, alternandosi, dalla lettura di questo romanzo. Due aspetti tanto diversi eppure entrambi appartenenti allo stesso personaggio, che comunque sembra accogliere le sue contraddizioni come un assunto di base dell’epoca in cui vive, che affida ad ogni persona una pluralità di identità nonché la libertà di saltare, all’occorrenza, dall’una all’altra per sopravvivere all’incasellamento di una definizione. Per poi arrivare a sentirsi realmente integri e unici solamente in questa pluralità.
Sfogliando le pagine e seguendo la storia di Tommaso, sembra di vedere scorrere, come in un film, i suoi pensieri, le sue perplessità, le sue inquietudini, che non sono altro che i pensieri, le perplessità, le inquietudini di chi comincia ad entrare nell’età dei primi bilanci e che dall’osservazione delle proprie giornate vi coglie un più di insoddisfazione, che lo fa cercare con maggiore determinazione le cose e le persone giuste. E così facendo entra in un percorso per lui nuovo, in cui si lascia mettere in movimento dai dubbi e dalle possibilità. E sono le donne e gli amici ad accompagnarlo, ognuno per qualche tratto, in questo viaggio di autodefinizione, in questo bisogno di comprendere perché, a volte, le storie si ripetono.
Si può imparare molto dalle storie. Se si vogliono evitare gli errori del passato si deve cercare di scoprirne il significato. Il protagonista sembra così raccomandare a se stesso di stare con gli occhi ben aperti, di capire le costanti, di provare ad innescare un cambiamento al momento giusto. Affianca allo zelo con cui analizza le situazioni per comprendersi, una certa leggerezza, come di chi rinuncia infine ad essere preparato alla vita, di chi sente di non doversi nemmeno prendere troppo sul serio, di chi capisce che deve provare semplicemente a respirare più a fondo il presente per vivere la propria vita con ritrovata vitalità.
Valeria Tosatto

LE PRIME PAGINE


Capitolo Uno | UNA STORIA FINISCE PERCHÉ NE POSSA COMINCIARE UN’ALTRA
Quella sera Tommaso andò a letto presto. Si mise in pigiama, si infilò sotto le coperte, ma ebbe difficoltà ad addormentarsi. Il ricordo di Isabella lo eccitava ancora. Si girò e rigirò più volte; provò a mettere via il cuscino e ad accendere la radio ma i suoi occhi sembrava non volessero saperne. “Eppure”, si disse per calmarsi, “l’ho appena conosciuta, abbiamo scambiato solo alcune frasi.” Non riuscì a convincersi. L’ansia lo aveva centrato in pieno.
A quel punto rinunciò a dormire e provò a ricordare il viso di Isabella. Tentò con ogni stratagemma, provò cercando di rivivere quei pochi minuti di contatto, ma non riuscì a vederla. Tutto quello che ricordava, che riusciva a vedere, erano i suoi capelli scuri e gli occhi neri.
Si addormentò senza accorgersene e dormì come un sasso senza sognare nulla o senza ricordare di aver sognato. Si svegliò al rumore delle auto che percorrevano il cavalcavia. Aprì gli occhi ed ebbe la visione che aveva cercato invano per tutta la notte: Isabella nella sua interezza. I suoi occhi, i suoi capelli, i suoi seni, le sue mani. Tutto quello che aveva visto la sera precedente, adesso gli tornava vivo. Sentì stringersi il cuore e si alzò col magone pensando che forse non l’avrebbe più rivista.
“Voglio rivederla! Ne ho voglia, mi piace! E, ne sono sicuro, anche io piaccio a lei!”

Fece colazione con lo sguardo fisso sul nulla. Più ingoiava biscotti bagnati nel latte, più il suo cuore gli si faceva piccolo e il petto gli si stringeva. “Mi ci vuole un po’ di medicina”, si disse dirigendosi verso lo stereo. Prese un CD di Claudio Lolli e lo sistemò sul lettore. Non appena le prime note di Angoscia metropolitana lo inondarono, cominciò a rilassarsi.
Tutte le volte che ascoltava quella canzone il pensiero gli volava a quando, ragazzo, insieme agli amici, nei momenti in cui non sapevano cosa fare e si sentivano presi dallo sconforto, si sottoponevano a dosi massicce di Angoscia. Lolli era la loro cura omeopatica contro la depressione, così come Janis Joplin era il loro eccitante nei momenti bui.

Ascoltò Angoscia tre volte di seguito poi, cominciava a sentirsi meglio, spense lo stereo e andò a farsi una doccia. Sotto lo scroscio dell’acqua gli vennero i primi dubbi. “E se abbia soltanto sognato? Se mi sia inventato tutto? Se quello che per me è stato un voler dirmi «Mi piaci» per lei non è stato altro che un minuto passato con una persona simpatica e niente più? Io mi son dovuto sparare tre Angoscia per riprendere fiato e lei, invece, forse, magari, a quest’ora è ancora a letto con il suo uomo.” Restò qualche minuto immobile, con l’acqua che gli cadeva sul capo. Poi chiuse il rubinetto, si infilò l'accappatoio e si diresse in cucina. “Devo rivederla! Solo così saprò.”

*****

Da sei mesi, da quando, cioè, Maria lo aveva lasciato, Tommaso viveva solo. Era un po’ che sentiva che qualcosa non andava più come prima ma pensava si trattasse di un momento di offuscamento del loro rapporto. Era sicuro, comunque, che dodici anni di matrimonio e due figlie non erano qualcosa che si poteva liquidare dall’oggi al domani. Così credeva lui. Sua moglie, invece, dall’oggi al domani aveva fatto le valigie ed era andata via portando con sé anche le figlie; e tutto, apparentemente, senza nessun motivo preciso. Non gli era piaciuto essere piantato in quel modo, però non le aveva serbato rancore. Non troppo, almeno. Quello che invece non le perdonava era il fatto che, così facendo, gli stava rubando gli anni che avrebbe potuto passare con le figlie e che, allo stesso tempo, stava scippando, alle figlie, la possibilità di vivere in una famiglia normale. Era questa la cosa che gli dava più fastidio.
Qualche settimana dopo, il solito amico ben informato gli aveva spiegato che Maria, già da qualche mese, si vedeva regolarmente con un altro. A quel punto le crisi gli erano arrivate forti e aveva dovuto fare ricorso ad una overdose di Janis Joplin per tirarsi su il morale.
Che significava tutto ciò? Perché sua moglie andava a letto con un altro? Quando lei gli aveva detto: «Ti lascio, voglio andare per la mia strada!», lui le aveva chiesto spiegazioni. Perché mai lei gli aveva risposto che non c’era niente da spiegare, che non c’era un motivo preciso che la spingeva ad andare via? A nulla erano valse le richieste di discuterne ancora. «Ormai ho deciso!», aveva tagliato corto lei.
Non si erano più parlati. Avevano vissuto sotto lo stesso tetto ancora per un paio di giorni, giusto il tempo di fare le valigie e poi, una mattina, lei era andata.

Si era depresso, aveva saputo dell’altro ed aveva continuato ad essere depresso. Per fortuna c’era il lavoro che lo costringeva ad uscire e a vedere gente altrimenti, fosse stato per lui, sarebbe rimasto tutto il giorno rintanato a casa ad ascoltare musica o a dormire.
Gli erano stati necessari un paio di mesi per raggiungere una tranquillità d’animo tale da fargli vedere la situazione da un punto di vista diverso. Aveva allora smesso gli abiti da vittima e si era vestito da opportunista, da colui, cioè, che prende la palla al balzo. “Ogni occasione è persa!”, si era detto. “Se lei mi ha lasciato, non vuol dire che io debba restare da solo. Dai, Tommaso, al mondo di donne che cercano un uomo ce ne sono tante. Si tratta solo di trovarle!”
E aveva cominciato a cercarle. La sua, però, non era stata la ricerca di uno che ha voglia di una donna perché da mesi non ne tocca una. Lui si era messo alla ricerca di una donna per dimostrare a se stesso e agli altri, al mondo, di essere ancora capace di portarsene a letto una. Ma era stato più che ottimista! Forse donne che cercavano un uomo ce n’erano tante, solo che lui non ne aveva conosciuta nessuna. Il suo campionario era così ridotto, colpa dei tanti anni passati a casa senza frequentare la società, che in quei mesi non solo non era riuscito ad avere nessuna storia, ma non era nemmeno riuscito a frequentare una donna che fosse una. Era così dovuto ricorrere ancora a Claudio Lolli per evitare un nuovo crollo psicologico.
Poi, una cena a casa di Marco, il campanello che suona, una donna che sale, due frasi scambiate con lei e, magia, la sensazione di una nuova vita che gli si apre davanti.

*****

Da qualche settimana i muri della città erano tappezzati col faccione di Francesco Guccini. A Tommaso piaceva e in un altro momento avrebbe fatto pazzie per vedere un suo concerto. Quand’era giovane aveva fatto centinaia di chilometri per andarlo a sentire. Adesso, invece, se ne stava a casa, rintanato nel suo guscio. Eppure era un’occasione troppo ghiotta quella di vedere Guccini senza fare fatica. Ma la sua apatia in quei giorni era ai massimi livelli, preso com’era dai ricordi della moglie e delle figlie e dalla voglia di rivedere Isabella, voglia che sentiva di non poter appagare. “Nutrimento dell’anima”. Questo erano per Tommaso erano i concerti, i libri, i film. Evidentemente, però, in quel periodo la sua anima era anoressica. Così, quando Marco suonò al citofono per invitarlo al concerto, Tommaso era ancora in pigiama intento a giocare al computer.
«Allora, vieni?»
«No, non ho voglia…»
«Ma se una volta impazzivi per Guccini…»
«Ancora adesso, se è per questo! Solo che non ho voglia di uscire…»
«Ascolta, così non puoi andare avanti. Adesso ti prepari e vieni con me a vedere il concerto!»

C’era molta gente che si dirigeva al palasport. Una fila interminabile che iniziava da chissà dove, sempre ammesso che avesse un inizio, e che andava a morire ai cancelli del palazzo dello sport. Marco e Tommaso si inserirono in quel serpente umano e seguirono il flusso. Tommaso continuava a tenere l’espressione di chi fa qualcosa senza voglia, anche se l’aria di fine pomeriggio e la marea di persone che aveva attorno lo spingevano al sorriso. Ai cancelli il flusso si bloccò e Marco e Tommaso si sottoposero ai normali controlli di polizia. Dopo pochi minuti, però, erano già all’interno del palazzo. La bolgia era enorme. Incontrare un viso amico sarebbe stato come cercare il classico ago nel pagliaio. Tommaso invece appena entrato si ritrovò faccia a faccia con Isabella. Non appena la vide, non appena si videro, il cuore di Tommaso si allargò tanto che quasi gli uscì dal petto. Poi prese a battergli in modo così vorticoso che Tommaso cominciò a tremare per l’emozione. Fu un attimo perché, giusto il tempo dei saluti, Isabella gli indicò Giorgio. «È il mio uomo!», chiarì subito con il sorriso sulle labbra. Il cuore di Tommaso si microscopizzò; il tremore si trasformò in sudore ed un improvviso mutismo lo prese tutto. Riuscì a dire soltanto «Piacere» e si ritirò in se stesso.
Marco era il suo migliore amico. Si conoscevano da più di venticinque anni e, anche se non avevano mai avuto un rapporto intimo come quello che ci può essere tra un uomo ed una donna, avevano fatto tanti di quei viaggi insieme, avevano trascorso tante di quelle notti insonni a discutere di tutto, che si poteva certamente affermare, senza timore di essere smentiti, che Tommaso aveva passato in assoluto più tempo della sua vita con Marco che con ogni altra persona. Si conoscevano bene.
«Che c’è, non mi dire che hai buttato gli occhi su quella là?», fece Marco all’amico non appena tornarono soli (ammesso che ci si può considerare soli in mezzo a cinquemila persone).
«Ma è possibile che non ti posso nascondere niente?», rispose Tommaso, sorridendo, anche se il suo era un sorriso amaro.
«Venticinque anni non sono due giorni, se permetti! E se vuoi il mio parere, lascia perdere, mettici una pietra sopra.»

Il concerto fu molto bello. Tutti gli spettatori uscirono dal palazzetto allegri e soddisfatti. L’unico con lo sguardo fisso sui suoi passi, e con l’umore sotto i tacchi, era Tommaso. «Non vorrai mica passare tutta la tua vita in questo modo? Cerca di darti una mossa! Ti piace Isabella? E allora provaci! Non è mica detto che io abbia ragione, può anche essere che mi sbagli.» «Vabbè, ma se c’è quello, come faccio…»
«E quello mica è sempre tra i piedi! Fa il rappresentante di prodotti per dentisti e quindi ogni tanto parte per i suoi giri e sta via anche per tre o quattro giorni. È un tipo… così…, né troppo né troppo poco.»
Cosa voleva dire con quel né troppo né troppo poco non era chiaro nemmeno a lui, ma Tommaso capì o, almeno, credette di capire.
«Lei invece», continuò Marco, «è una ragazza strana, nel senso che è diversa dalle altre. È una donna che ha il senso dello spirito, ama la musica, va al cinema. Una a cui piace vivere. E poi ha tutte le sue cose a posto. Dovresti vederla in costume, al mare. Non c’è che dire, ha un bel corpicino. Peccato che stia con uno come Giorgio.»
Tommaso ascoltò, senza proferire parola, ma con interesse. Quando Marco finì di parlare continuò il suo silenzio ma dentro di sé pensò che avrebbe dovuto approfondire quella discussione con l’amico e poi… boh, quello che sarebbe successo non lo poteva certo prevedere ma, nonostante tutto, nonostante Giorgio, aveva voglia di rivedere Isabella e aveva voglia di provarci.
(continua)

NOTA

Scrivere una storia vuol dire raccontare storie. E raccontare storie vuol dire affondare le mani nella propria fantasia per tirarne fuori quello che c’è dentro.
Quello che avete appena letto, i fatti e i personaggi che hanno vissuto in queste pagine sono quindi solo frutto della mia immaginazione. Se, nonostante ciò, vi è sembrato di scorgere un personaggio o un fatto già conosciuto, siate comprensivi: il confine tra immaginazione e realtà è così labile che spesso l’una sconfina nell’altra e viceversa.
Questo libro è dedicato a tutte quelle persone che hanno avuto il coraggio di vivere la propria vita nel modo che desideravano.
Meno Occhipinti


RECENSIONI

Una piccola barca in copertina, foto di Enzo Ingallina, ed un titolo che evoca la fragilità dei sentimenti costituisce la sintesi figurativa del romanzo di Meno Occhipinti, ragioniere presso il Comando Provinciale dei Vigili del Fuoco di Ragusa, il quale si presenta al grande pubblico con il suo secondo lavoro.
Nel 1996 ha pubblicato Le parole sono chiuse ed ora Fragili legami con i tipi del Gruppo Edicom di Milano.
Il romanzo agile, scorrevole, si legge quasi tutto d’un fiato, con un grande patos di coinvolgimento emotivo. Racconta l’avventura familiare ed amorosa di Tommaso, intrecciata con la storia di Marco, Isabella, Giorgio, Maria, Daniele, Gina.
I personaggi vengono descritti con linearità espressiva ed appaiono nella loro naturalezza e normalità di vita e di sentimenti.
La tensione emotiva di Tommaso, abbandonato dalla moglie, andata via con le due figlie, “per farsi la sua strada” viene descritta nel momento in cui il protagonista, superata la prima fase di crisi, durata sei mesi, si proietta alla ricerca di nuove avventure.
Marco, fraterno amico, consigliere e complice, collabora per organizzare gli incontri con Isabella, delusa dalla sua relazione con Giorgio e dopo intrecci di incontri falliti si apre una nuova avventura che finisce ben presto, come il fuoco di paglia.
L’autore, che appare evidente nel protagonista, assume ora l’atteggiamento della vittima, ora di consigliere, di guida spirituale e si incarna nel ruolo di Marco, amico sempre pronto a dare “saggi” consigli e a tessere le trame di un intreccio che si aggroviglia sempre più, specie dopo il pentimento di Maria che vuole ritornare a stare con Tommaso per salvare l’unità formale della famiglia ed un misterioso messaggio di Daniele, il quale da Londra sembra lanciare a Tommaso, tramite il telefonino, un appello di simpatia particolare ed un bisogno di relazione amorosa.
La descrizione analitica dei sentimenti domina le pagine del volume che tiene il lettore in vibrante tensione fino alla fine del racconto che si chiude con un “dopo” ed un “adesso”.
Anche l’effetto gelosia e la presenza di Eleonora, personaggio inesistente, inventato per costruire la trappola tra i due protagonisti, risulta artifìcio letterario del racconto che segue i canoni dell’intreccio.
L'avventura di Tommaso ed Isabella svanisce e si svuota, anche perché alimentata dal solo desiderio del piacere fisico e dal riscatto psicologico di sembrare ed essere ancora desiderabili agli occhi degli altri.
Mano nella mano i due si incontrano per l’ultima volta per raccontarsi la verità e poi ciascuno va per la propria strada in un viaggio di ritorno, ma sempre alimentato dal desiderio di nuove avventure.
Nelle ultime pagine, lasciando sempre al lettore la facoltà di immaginare l’esito della vicenda il quadro descrittivo dei personaggi, attori nel palcoscenico della vita, si completa con l’unione di Tommaso con Angela che gli dà un altro figlio.
Maria, la prima moglie, sposa un collega di lavoro, Daniele diventa ricchissimo a New York con l’import-export di una marca di minestrone. Marco sposa Gina ed Isabella va in viaggio di nozze in Grecia insieme a Giorgio.
Il romanzo che racconta e denuncia la crisi della famiglia e dei valori, lo spreco del consumismo sfrenato, proiettato alla ricerca del piacere, la vuotaggine di chi vive senza ideali e senza nobili intenti, costituisce un’occasione di riflessione per ricostruire la scala dei valori, per ridare centralità all’amore, che va oltre la semplice attrazione fìsica e diventa comunione di sentimenti che si consacrano nell’unità familiare e nella donazione reciproca.
Al lettore, che, giunto alla fine del racconto, vede sfilare i personaggi del romanzo, rimane il compito di carpire il messaggio dell’Autore, il quale, attraverso la descrizione-denuncia spinge a riflettere, a cambiare, a riprendere il proprio borsone, perché “ancora c’è tanta strada da fare prima di arrivare”.
Giuseppe Adernò

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Meno Occhipinti, un quarantenne ragusano, che ha trascorso, per motivi di lavoro, alcuni anni a Treviso, con il suo secondo romanzo, mostra di possedere una sicura vocazione per la scrittura e un bisogno di raccontare e forse, di raccontarsi, non episodico, ma costante. Nel suo libro, Fragili legami, edito dalla Edicom di Milano, con copertina di Enzo Ingallina e prefazione di Valeria Tosatto, ci narra una storia esemplare del nostro tempo, all’insegna della precarietà dei rapporti umani. Del resto, anche nel suo precedente libro (Le parole sono chiuse, Libroitaliano, 1996) prevale una sorta di difficoltà, tra le persone, di relazionarsi e di comprendersi. Tommaso, padre di due figli, viene lasciato dalla moglie, che ha iniziato una relazione con un altro uomo. Il suo amico Marco gli fa conoscere Isabella, una ragazza di cui lui si innamora, ma lei non è libera. Lui inventa di avere una relazione con una ragazza, in realtà inesistente e così riesce a interessare Isabella. Dopo alcuni incontri e uno scambio di idee, Isabella lascia il suo compagno e va a vivere con lui. Intanto la moglie, tronca il suo rapporto e cerca di tornare da lui, che non ne vuole sapere. La sua storia con Isabella procede benissimo finché lei riprende a rivedere il suo ex compagno e, infine, torna da lui. Tutto sembra finito, Tommaso è distrutto, ma tutto si assesta. La moglie incontra un altro uomo. Isabella sposa il suo compagno e Tommaso, ottenuto il divorzio, sposa Angela, una ragazza con cui sta molto bene. Tutto viene descritto nell’ambito di un itinerario mentale dei personaggi, che mostrano complicazioni, contraddizioni, ma anche tolleranza e comprensione dei problemi degli altri. Una sorta di coralità avvolge singoli e coppie, in una strana fissità, come se tutti fossero tenuti prigionieri da un tempo interiore, che rifiutano di oltrepassare. I personaggi si essenzializzano su linee brevi e non entrano nella sfera del romanzesco, ma sembrano oggetti manovrati, che finiscono col rientrare nelle regole della società in quella che la Tosatto, nella sua prefazione, definisce: “una piacevole esplorazione del mondo delle relazioni interpersonali”. Fragili legami è un libro che investe problemi esistenziali complessi, descritti con leggerezza di tono e con buona intuizione dell’animo umano. Ha un timbro cronachistico, tirato fino a toccare, su un filo quasi invisibile, certe note dense di riflessioni. È il racconto di un quotidiano, dove si descrivono situazioni che si accavallano in una condizione di precipizio e in un insieme di eventi, che si compongono e si frantumano. Tutti i personaggi sono pieni di conflitti e vengono trascinati dal generale crollo delle certezze e dei valori, che determinano il sovvertimento dei codici, in un racconto dalla trama narrativa esile ma incisiva. Il romanzo è modellato sugli stampi della scrittura giovanilistica di qualche anno fa, rappresentando lo sfondo e la sostanza di vicende comuni, tutto sommato, oggi, bisognose, comunque, di promozione all'esemplarità. Il leit motiv è una sorta di costante ingenuità, comune a tutti i personaggi, come proiezione dell’autore, intesa come voglia di affrontare la realtà e di volere semplicisticamente risolverla, sperando nelle trappole che la vita dissemina lungo il cammino di ogni esistenza. La scrittura risulta antilirica, sobria, a volte semplicistica e un po' scontata, ma riesce ad adeguarsi alle circostanze e a individuare il nucleo di ogni problema con pochi tratti efficaci. La prosa, non letteraria, è peculiare nella sua speditezza e nella sua linearità, in un dettato espressivo, che rappresenta un misto di semplicità formale e di forza inventiva.
Emanuele Schembari,
pubblicata sul numero di gennaio 2002 della rivista “Dialogo”