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Il brutto del rugby

Operaincerta, 14 agosto 2018

 
Le decisioni arbitrali non si discutono mai. O quasi mai...
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C'è del buono nel rugby, ma c’è anche del brutto. Perché se è vero che nello sport con la palla ovale valori come lealtà, sacrificio, altruismo, senso di responsabilità e rispetto, per l’avversario e l’arbitro, sono parte indelebile del DNA di ogni rugbista, è anche vero che quegli stessi valori, che vengono celebrati a ogni piè sospinto, sono spesso ignorati da quanti vivono quel mondo.
Provata a chiedere, ad esempio, ad un pilone che cosa accade durante una mischia. Vi risponderà che i sei di prima linea, nel momento in cui spingono gli avversari, non si fanno certo i complimenti e qualche parola “amica” e qualche pugno scappa sempre, e che, durante il gioco aperto, un calcetto, all’avversario, naturalmente solo quando ci si rende conto che l’arbitro è distratto, si cerca di darlo comunque. 
È vero che la decisione dell’arbitro non si discute mai, ma è anche vero che spesso i giocatori, soprattutto i più bravi, e questo vale a tutti i livelli, ci provano a condizionarne le scelte, e ogni tanto ci riescano anche.
Poi ci sono i condizionamenti “di default”. Sono tante le squadre che, quando affrontano gli All Blacks, si lamentano per il fatto che i direttori di gara, sovente, utilizzano due pesi e due misure nel giudicare le azioni e i falli commessi dai giocatori delle due squadre. Per quelli commessi dai “tuttineri” l’occhio si chiude più facilmente. Evidentemente, così come nella vita di tutti i giorni, dove il più forte, il più ricco, il più “amico” ha sempre un trattamento di favore da parte di chi deve far rispettare le regole, anche nello sport funziona allo stesso modo.
Poi c’è il leggendario terzo tempo, il momento in cui i giocatori delle squadre, dopo essersele data di santa ragione in campo rispettando (quasi) sempre il regolamento, si dovrebbero ritrovare attorno ad un tavolo per mangiare un piatto di pasta asciutta, bere una birra e parlare di quanto si è fatto sul rettangolo verde, con gli avversari e con l’arbitro. In realtà quello che spesso si fa è limitarsi a mangiare e bere, ciascuno accanto ai propri compagni di squadra. Le chiacchiere sono rare come sono rari i confronti con l’arbitro.
Soprattutto nei campionati minori, infine, quando si può, è abitudine favorire, in qualche modo, la società amica. A qualunque prezzo e in qualunque modo. Un esempio per tutti: alcuni anni fa la squadra del Padua Ragusa doveva disputare un incontro-spareggio con il Viterbo, che avrebbe dato alla vincente la promozione in serie B. Il Comitato Laziale della Fir, organizzatore di quella partita, ha pensato bene di scegliere come campo neutro quello di Pomigliano d’Arco, 300 km da Viterbo e 700 da Ragusa. La società ragusana ha giustamente protestato per quella scelta ma il Comitato laziale, invece di ammettere “l’errore” e quindi trovare una sede equidistante dalle due città, ha preferito pagare per intero i costi della trasferta alla compagine iblea pur di non far viaggiare i laziali. 
Come già detto, non sempre quello che luccica è oro…