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Mura amiche
Operaincerta, 14 febbraio 2014
PerchÉ negli sport di squadra si vince di piÙ in casa che fuori?
 
 Italiani, popolo di santi, navigatori e sportivi. Sì,  sportivi, magari non di quelli che si mettono in pantaloncini e maglietta e si  lanciano dietro a un pallone di qualunque dimensione o forma, ma certamente sportivi,  altrimenti come si spiega il perché, ad esempio, un qualunque torneo, nel quale  tutti i contendentisi incontrano tra di loro almeno una volta, si chiama  “girone all’italiana”?
Il classico girone all’italiana è quello che si gioca con partite di andata e  ritorno. No, lo dico per chi è distante anni luce dal mondo dello sport,  “andata e ritorno” non vuol dire che si gioca in movimento, andando e tornando.  Più semplicemente vuol dire che si gioca una partita in casa propria e una in  casa dell’avversario.
Sulle statistiche, spesso, si costruiscono teorie e regolamenti, anche se  queste non sempre sono attendibili. Chi si ricorda della statistica sul consumo  di polli? Pare che alcuni decenni fa, evidentemente molto prima dell’influenza  aviaria, gli italiani consumassero un pollo a testa ogni giorno. In realtà,  c’era chi ne mangiava due e chi doveva accontentarsi di un panino o addirittura  di saltare il pranzo.
Una statistica, invece, è attendibile e precisa, e così mi ricollego all’inizio  di quest’articolo e arrivo al tema di questo mese: quella delle vittorie in  casa.
Quante volte ci siamo detti che la nostra squadra del cuore in casa è  imbattibile, mentre quando gioca in trasferta sembra non essere più la stessa?  Potrebbe essere una mostra sensazione, invece sembra proprio così. 
Facciamo un esempio. Prendiamo il campionato di calcio di serie A. Alla 21°  giornata si erano disputati 210 incontri casalinghi e le squadre di casa  avevano vinto per 101 volte, mentre le ospiti avevano primeggiato solo 52 volte  (il resto delle partite erano finite in parità). Dunque 48% di vittorie in  casa, 24 fuori casa e 28 percento di pareggi.
All’estero le cose non vanno molto diversamente. In casa dei nostri cugini  d’oltralpe, nella League1, in casa si è vinto nel 45% dei casi, il 26% delle  volte a vincere è stata la squadra ospite e il 22% della partite sono finite in  parità. Nella Premier League inglese le vittorie fuori casa sono  percentualmente più consistenti rispetto agli altri due campionati, il 32%, ma  nella terra d’Albione si è solo pareggiato di meno, il 23%, dato che le  vittorie casalinghe sono state il 45% del totale.
Questo è però il calcio, qualcuno potrebbe dirmi. Vero. E allora cambiamo  sport, e scegliamone uno nel quale si dice sempre che la squadra più forte vince  comunque: il rugby.
Nel nostro massimo campionato nazionale, l’Eccellenza, le vittorie in casa sono  state il 60% del totale, quelle in trasferta il 38, mentre si è pareggiato solo  nel 2% dei casi.
Percentuali simili anche nel più ricco campionato estero, il Top14 francese.  Qui le squadre di casa hanno vinto l’84% delle volte, perso il 13% dei casi,  mentre i pareggi hanno avuto un’incidenza del 3%.
Da questi dati, parziali per quanto si voglia ma abbastanza rappresentativi,  possiamo quindi dedurre che le squadre che giocano in casa, in qualunque  nazione, in qualunque sport, hanno una marcia in più rispetto alle loro  avversarie.
Ma se a questo punto è difficile mettere in discussione l’assioma “gioco in casa  e vinco più facilmente”, spiegarne il perché non è cosa facile.
Di primo acchito si potrebbe darne il merito al tifo, il cosiddetto  “dodicesimo” uomo in campo, ma non può essere solo questo fattore a spiegare la  predominanza di vittorie casalinghe, visto che anche quando si gioca a porte  chiuse il più delle volte sono le squadre di casa a vincere. La riprova ce la  dà la Lazio che, nel 2013, ha giocato in casa a porte chiuse tre partite di  Europa League, vincendone due e pareggiandone una.
Ma allora cos’è che fa diventare vincenti le squadre quando giocano tra le mura  amiche? 
Ce lo spiega Orazio Arancio, attuale presidente del Comitato Regionale  Siciliano della Fir, la Federazione Italiana Rugby, ma che in passato ha  vestito le maglie dell’Amatori Catania, della Benetton Treviso e della  Nazionale italiana di rugby: «Sono tanti i fattori che influiscono, a  cominciare dai riferimenti visivi di chi conosce. Ma secondo me l’aspetto più  importante è quello psicologico: il tuo campo è la tua fortezza, la tua roccaforte,  e per questo sei portato a difenderla a tutti i costi, così come difenderesti  qualcosa di tua proprietà».
Dunque il proprio campo è qualcosa di sacro e inviolabile, nel quale si ha  diritto, in senso chiaramente metaforico, di vita e di morte su chi viene a  renderci visita. Che avesse allora ragione Gigliola Cinquetti quando agli  inizia degli anni settanta cantava “E qui comando io e questa e casa mia, ogni  dì voglio sapere chi viene e chi va”?