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Questo siamo noi

Operaincerta, 14 aprile 2006

 
intervista a Valentino Bianchi e Luisa Cottifogli

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Qualche ora prima del concerto dei Quintorigo, abbiamo avuto l’opportunità (grazie Stefania, grazie Andrea) di poter fare due chiacchiere con Valentino Bianchi e Luisa Cottifogli, rispettivamente sax e voce del gruppo.

Il vostro è un progetto particolare, in un certo senso “strano”. Ci racconti la storia dell’inizio?
Valentino: L’idea è nata, forse un po’ casualmente, tanti anni fa. Eravamo giovani e, come spesso accade, abbiamo messo su una band per suonare in giro, dalle nostre parti. In realtà suonavamo altri strumenti. Ad esempio Andrea Costa suonava la batteria, Gionata Costa la chitarra e con il basso elettrico e il sax facevamo rock and roll, revival, cose vecchie. Noi studiavamo al conservatorio e ad un certo momento abbiamo provato a mettere in piedi un set acustico. L’idea si è rivelata interessante e da lì sono nati i Quintorigo. Abbiamo continuato a fare serate a livello locale e poi concorsi e festival, tra cui Sanremo, grazie al quale siamo diventati un po’ più popolari su scala nazionale.

E il nome, invece, come nasce? Ha un significato ben preciso?
Valentino: Il nome non ha un significato ben preciso. Fa riferimento al rigo musicale, al fatto che abbiamo studiato in conservatorio e al fatto che siamo in cinque. Ormai è un nome a cui siamo affezionati.

La vostra è una musica contaminata. Lo siete anche voi nella vostra vita privata?
Valentino: (sorride, n.d.r.) Sì, siamo profondamente contaminati. (poi torna serio, n.d.r.) A parte gli scherzi, è vero che abbiamo fatto degli studi accademici, però siamo sempre stati degli studenti un po’ atipici perché ci piacevano anche generi che esulano dal contesto accademico. Siamo sempre stati appassionati di jazz, di rock e quindi l’idea di base era quella di cercare un linguaggio autonomo e originale che però metta assieme diverse espressioni musicali.

I vostri primi tre dischi non sono facili. Il terzo, in particolare, è veramente ostico. Il nuovo, invece, è più leggero, più semplice. C’è un motivo?
Valentino: Sì, con quest’ultimo disco siamo tornati alle tendenze del primo e anche del secondo. Ci sono delle vere e proprie canzoni, anche dal punto di vista formale. Perché ci siamo resi conto che In cattività era veramente troppo difficile, anche un po’ forse cerebrale. Mentre il nostro messaggio vuole arrivare alla massa, vuole essere commerciabile. È bello e difficile, a volte, scrivere sotto forma di canzone. Così abbiamo raccolto questa sfida e siamo tornati alla concezione iniziale che è quella di scrivere pezzi che potrebbero essere considerati canzone e che potrebbero essere anche radiotrasmessi, cosa che comunque non succede, ormai ci abbiamo messo una pietra sopra. È più un problema di sonorità, che di forme.

Come mai su questo disco avete inciso tante cover?
Valentino: Noi abbiamo sempre avuto un rapporto privilegiato con la cover perché per noi la cover è un banco di prova, è un mettersi a confronto e al dialogo con i mostri sacri del passato. Le cover ci sono sempre state e in questo caso ce ne sono 3 e in più c’è uno standard di Charlie Mingus (Goodbye pork pie hat, n.d.r.) che non può essere considerata una cover visto che nell’atteggiamento del jazzista non esiste il concetto di cover.
Le cover che abbiamo scelto le abbiamo scelte per dei motivi ben precisi. Il tributo che abbiamo fatto agli Area (“Luglio, agosto settembre nero) è una cosa che da tempo volevamo fare perché sono stati uno degli esempi più interessanti di originalità nel rock italiano. Un gruppo ormai poco conosciuto dai giovani nonostante fossero bravissimi dal punto di vista musicale e impegnati dal punto di vista ideologico e morale. Nella nostra cover, la batteria è suonata da Cristian Capuozzo, figlio di Giulio, il batterista degli Area, scomparso qualche anno fa.
La cover di Bob Marley (Redemption song) è un regalo che abbiamo fatto ad AMREF, è uscita infatti come singolo e il suo incasso è stato devoluto a questa grande associazione e Marley ci sta perché è un grande del Novecento, perché la canzone parla di libertà e di uno sviluppo sostenibile ante litteram e quindi ben si colloca nel contesto del disco.
Il pezzo dei Police (Invisibile sun/Sole invisibile) lo abbiamo scelto e fatto nostro perché parla di pacifismo, Sting ci piace e il pezzo è bello. Tra l’altro, dopo averlo parzialmente tradotto in italiano, abbiamo chiesto all’autore il permesso per inciderlo e Sting ci ha detto che la nostra versione gli era piaciuta. Questo ci ha lusingati…

Che succede quando in un gruppo va via il cantante, che è anche, se non il leader, la persona nella quale la gente identifica il gruppo?
Valentino: C’è un momento di crisi, ci sono dei ripensamenti. Separarsi è stato un peccato, ma era inevitabile per tutta una serie di motivi che non ha senso sviscerare. Ad un certo momento avevamo pensato di continuare in quattro facendo solo musica strumentale, anche se forse avrebbe significato spingersi troppo fuori dal mercato. Poi, invece, abbiamo deciso di prendere una voce nuova, femminile, proprio per dare un taglio netto col passato. Abbiamo scelto Luisa perché la conoscevamo bene ed era l’unica che potesse inserirsi bene con noi. Lei ha una cultura musicale pazzesca e delle capacità e competenze non comuni ed è anche una persona squisita. Noi non avevamo dubbi su di lei e credo che il risultato confermi le nostre previsioni.

Luisa, che cosa si prova ad entrare in un gruppo già costituito e che ha un certo successo?
Luisa: All’inizio c’è un po’ d’imbarazzo perché la responsabilità per un cantante è molto grossa. Diciamo che io l’ho presa con molta leggerezza e divertimento. Mi sono detta “vabbè, proviamo”. I Quintorigo li conoscevo già, mi piacevano le loro scelte musicali, sapevo che erano bravi. Anche nel mio curriculum c’è tanta sperimentazione, tanta mescolanza di stili, così ho provato e mi sono messa alla prova.
Abbiamo cominciato a fare concerti dal giugno scorso ed è stato un crescendo in un insieme di conoscenza e di divertimento musicale e umana. La scelta è stata quella di fare prima l’esperienza live proprio per mettersi alla prova, conoscersi, e poi uscire con il disco. È stata, credo, la scelta migliore perché così siamo usciti con un sound che era già nostro.

Tra pochi giorni andremo a votare per le elezioni politiche. I Quintorigo hanno qualcosa da dire?
Valentino: Noi siamo un gruppo apolitico ma non vuol dire che siamo disimpegnati. C’è il nostro impegno con AMREF e ci sono i nostri testi che cercano di far riflettere su alcuni aspetti, magari marginali, dell’attualità. Parliamo anche di libertà, di pacifismo e in questo, forse, un po’ siamo politici. Noi comunque sosteniamo chi lotta contro la guerra, chi vuole la pace, chi vuole la cultura, chi vuole le sovvenzioni delle istituzioni per l’arte, eccetera. E mi sembra di essere stato piuttosto esplicito...