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Poste, chi tutela i ricorsisti?
La Città, 8 aprile 2006
L’azienda comunica i piani di rientro e spiega che in molti hanno accettato le condizioni capestro. SarÀ vero?
E alla fine fu il dato definitivo. I portalettere ricorsisti, per aderire all’accordo del 13 gennaio 2006 per il consolidamento del proprio rapporto di lavoro (il modo complicato per dire “essere riassunti nonostante si stia già lavorando”), avevano come data ultima il 14 marzo. Una settimana dopo, su un sito sindacale (www.ilpostale.it), sono stati pubblicati i dati, forniti dall’azienda, sulle adesioni al suddetto accordo per la parte riguardante i lavoratori vincitori di ricorso che attualmente stanno prestando servizio.
Per chi è ancora in attesa di sentenza o non ha presentato ricorso invece non ci sono ancora dati ufficiali, visto che c’è tempo fino al 15 maggio per aderire all’accordo. Proviamo allora ad analizzare le cifre. La prima cosa che salta all’occhio è il dato complessivo delle adesioni: 10.709 su 13.799 ricorsisti. Vuol dire che oltre il 77% di chi ha vinto il proprio ricorso, ha ricevuto un bel po’ di euro (qualcuno anche 80.000) e sta già lavorando da diversi mesi, ha preferito perdere un po’ di anzianità di servizio, rinunciare ai soldi ricevuti e, in più, restituirne un ulteriore terzo (chi ha ricevuto 80.000 euro dovrà restituirne 104.000) per avere, come contropartita, la sicurezza del posto di lavoro.
Se queste sono le cifre, significa che l’accordo è stato un successo e che Poste Italiane s.p.a. ha vinto la sua scommessa, risparmiando nel contempo un bel po’ di milioni di euro (a una media di 30.000 euro a persona, si arriva alla bellezza di 300 milioni).
A noi, tutto ciò appare squallido ed è segno di quanto sia drammatica la condizione di chi cerca lavoro. Se si è disposti a rinunciare a far valere un proprio diritto, peraltro con fermato aa una sentenza in un tribunale, significa che la nostra società è debole e il sistema folle. E significa anche che la tutela per i lavoratori non esiste più; in questo senso la cosiddetta legge Biagi che rende i lavoratori precari a vita è emblematica, e che il sindacato ha fallito. È vero che le sentenze a favore dei lavoratori rischiavano di mettere in ginocchio l’azienda, che si è ritrovata nel giro di poco tempo a dover assumere migliaia di portalettere, ma un errore della dirigenza non può farsi ricadere sulle spalle dei lavoratori.
E poi siamo sicuri che sia stato un errore? Possibile che un colosso come le Poste non si possa permettere un ufficio legale degno di questo nome e che commetta errori nella stesura dei contratti?
E già sono pronti i piani di rientro. I ricorsisti-firmatari potranno rimborsare il proprio debito nei confronti delle Poste in tante comode rate fino ad una durata massima di 15 anni, come se si stesse acquistando una casa quando invece, in un certo senso, si sta solo comprando la certezza di tenersi il proprio posto di lavoro. Un successo per le Poste, dicevamo.
Ma come vi si è arrivati? Da più parti giungono voci di ricatti velati, come quello, la denuncia è della Cgil, della ricorsista ragusana che, assunta in altra sede e distaccata temporaneamente a Ragusa perché in allattamento, si è sentita proporre il trasferimento definitivo a Ragusa in caso di adesione all’accordo (la Cgil di Ragusa ha chiesto spiegazioni alla Direzione Regionale di Poste Italiane s.p.a. senza aver avuto, almeno finora, alcuna risposta) e di adulazioni palesi, come quelli nei confronti dei ricorsisti con diploma di scuola media superiore a cui è stato fatto credere che firmando l’accordo, in quanto diplomati, avrebbero avuto la possibilità di una rapida carriera, quando ci sono portalettere diplomati che da vent’anni sono fermi al livello con il quale sono stati assunti. Un successo. Ma i dati che Poste Italiane s.p.a. pubblica sono veramente quelli veri?
Guardando nel dettaglio alcune cifre, qualche dubbio potrebbe sorgere. Per esempio: possibile che solo 977 lavoratori abbiano fatto ricorso in Sicilia? Non sono pochi considerando che solo la Cgil di Ragusa ha patrocinato circa 80 lavoratori e che le altre organizzazioni sindacali un centinaio ciascuna? Possibile che nella sola provincia di Ragusa ci siano stati circa 300 ricorsi e gli altri 677 si siano divisi per tutte le altre 8 province della nostra regione? Sembra poco verosimile, anche perché fino a poco tempo fa si parlava di circa 2000 ricorsi in tutta la Sicilia. E se, sempre secondo le cifre che ci ha fornito la Cgil iblea, solo pochi tra i loro iscritti hanno aderito all’accordo, i 681 firmatari (rappresentano quasi il 70% di tutti i ricorsisti) da quali sindacati si sono fatti patrocinare? E in quale provincia? Qualcosa sembra non quadrare.
E se invece le cifre che ha fornito Poste Italiane s.p.a. non fossero vere? Se nella realtà solo pochi ricorsisti avessero aderito all’accordo e questo presunto successo fosse solo uno specchietto per spingere tutti quelli che non hanno aderito a sentirsi soli e a spingerli a firmare quando, tra poco, potrebbero essere riaperti i termini per aderire? Ci rendiamo conto che ci stiamo spingendo nel campo della fantasia, ma visto che i dati vengono forniti dalle Poste e che i sindacati non hanno potuto effettuare alcuna verifica...
Nel frattempo, comunque, le cause continuano ad essere discusse in tribunale e ad essere perdute da Poste Italiane s.p.a.
Al momento in cui scriviamo abbiamo notizia di un’udienza, fissata per il 17 marzo, rinviata a causa dell’assenza per malattia del giudice preposto, e di un’altra, che si è tenuta una settimana dopo, in cui tutti i ricorsisti hanno vinto.
Intanto, chi non ha aderito continua a lavorare e, paradossalmente, se dovesse vincere tutti i gradi di giudizio si troverebbe nella situazione di precedere i firmatari nelle graduatorie per i trasferimenti e la mobilità. Inoltre, un senatore della Repubblica, Luigi Malabarba di Rifondazione Comunista, ha presentato un’interrogazione al Ministro delle Comunicazioni in cui chiedeva se non fosse uno spreco di denaro pubblico, da parte di Poste Italiane s.p.a., il ricorrere sistematicamente per le vie legali contro i ricorsi persi.