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Il vento non l'ha portato via

Operaincerta, 14 settembre 2005

 
Il concerto, piÙ parlato che cantato, di Claudio Lolli a Ragusa, un artista che non ha ancora perduto la voglia di interrogarsi e riflettere.
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Nel numero scorso di Operaincerta, ho scritto che negli anni settanta non era facile assistere ad un concerto dei tuoi cantautori preferiti perché era rarissimo che i loro tour arrivassero al Sud.
Io ho conosciuto Claudio Lolli, musicalmente parlando, nel 1976 e una della prime canzoni che ho imparato a strimpellare è stata proprio Borghesia. Così, quando tra noi “alternativi” si è sparsa la voce che Claudio Lolli si sarebbe esibito al Teatro Comunale di Gela, non ricordo se fosse l’inverno del 1976 o il successivo, ho avuto un momento di scoramento perché, a quei tempi, Gela era lontanissima e lo era ancora di più per un ragazzo di quindici o sedici anni.
Ma Lolli era Lolli, e così, con un amico, ci siamo procurati i biglietti del concerto e, il pomeriggio del giorno dello spettacolo, ci siamo messi su un treno e dopo oltre due ore di viaggio (nonostante Gela disti da Ragusa appena 60 chilometri) siamo arrivati nella città del petrolchimico per scoprire che il concerto era stato annullato, non si sa per quale motivo. Grande delusione e rabbia per il concerto mancato e per il viaggio a vuoto.
Poi, per diversi anni, non mi è più capitato di incrociare sulla mia strada quella di Claudio Lolli. L’incantesimo si è parzialmente rotto 5 o 6 anni fa, a Catania, quando sono riuscito a veder iniziare il suo concerto ma, dopo un paio di canzoni, per motivi che non sto a raccontarvi, sono stato costretto ad andare via.
E la stessa cosa mi è successa due anni fa, per il concerto che Claudio ha tenuto a Scicli!
Capirete che, sapendo di avere un concerto di Claudio Lolli nella città in cui vivi e conoscendo i precedenti che ho avuto con lui, mi sono chiesto che cosa sarebbe potuto mai succedere, questa volta…
Invece, per fortuna, non è successo nulla di clamoroso e, finalmente, sono riuscito a rompere il mio personale tabù.
La serata del 22 luglio, dal punto di vista climatico, era ideale: assente il caldo umido e il fresco inesistente. Insomma, una classica serata di luglio, in una città che non è mai troppo afosa. Anche la location era di quelle suggestive: il ponte Vecchio di Ragusa, uno di quei posti che, pur essendo bellissimi e portando con sé un’infinità di ricordi e di storia, non sono mai stati valorizzati a dovere (almeno fino a due anni fa).
Siamo arrivati sul ponte una mezzoretta prima dell’ora fissata per l’inizio del concerto e abbiamo avuto la sorpresa di trovare quasi tutta la “platea” occupata. Sorpresa piacevole, perché fa piacere sapere che Claudio Lolli ha ancora un suo pubblico fedele, e allo stesso tempo spiacevole, perché pensavamo di trovare ancora qualche sedia libera (forse inconsciamente ci siamo detti “ma chi vuoi che ci sia…”). Poco male, ci siamo piazzati su un lato del ponte e abbiamo aspettato, pazienti, l’inizio.
Il concerto è stato aperto dal cantautore calatino Salvo Sgarlata, accompagnato da Pietro Vasile al violino e da Salvo Amore alla chitarra, che ha cantato quattro delle sue canzoni. Quindi c’è stato il cameo del poeta/cantastorie lentinese Giuseppe Cardello, che ci ha proposto la sua versione di quella filastrocca tradizionale che risponde al nome di Re Bifè.
Poi, finalmente, Claudio Lolli ha iniziato il suo concerto. Ed è stato un concerto molto particolare, diverso dai concerti cui ci hanno abituati gli altri cantautori, che infilano una dietro l’altra le loro canzoni e le uniche parole che ci concedono sono “grazie” e, ogni tanto, “questa canzone si chiama…”. Con Lolli tutto è stato sovvertito, al punto, quasi, di avere una serie di monologhi inframmezzati da alcune canzoni, alcune delle quali (Adriatico e I musicisti di Ciampi) recitate (“Ho fatto la Bottega del Teatro di Gassman, me lo posso permettere”…).
Ma tutto questo al pubblico, un paio di centinaia gli spettatori, con una netta prevalenza di quaranta-cinquantenni, capelli bianchi e pancia ben in vista, non ha dato fastidio e, anzi, ci è sembrato apprezzassero le riflessioni ad alta voce che Claudio Lolli ha proposto. “Quando ho iniziato a cantare ero timido e non parlavo quasi mai. Adesso sono tutto all’opposto. Perciò, cronometro alla mano, quando supero i due minuti di chiacchiera, cominciate a fischiare che io capisco e inizio una canzone”. Ma non ci sono stati fischi e, invece, il pubblico ha ascoltato con attenzione e ha commentato le affermazioni lolliane con applausi e risate. Lolli ha definito i suoi concerti delle “performance vagabonde” e, nonostante la leggenda voglia che i suoi concerti siano tristi, la realtà ci ha mostrato invece un Lolli ironico, che è riuscito a rendere paradossale questa “voce di popolo” (“questa sera non vi divertirete, anzi ve ne andrete a casa con un peso nel cuore, perché io sono triste, lo sanno tutti”).
Se Claudio Lolli è stata la voce della serata, non bisogna dimenticare di citare Paolo Capodacqua che, con la sua chitarra (senza la cassa acustica e con le chiavette nella parte opposta a quella dove siamo abituati a trovarle, che sia una chitarra transgenica?), ha accompagnato magistralmente la voce, come sempre un po’ monocorde, di Lolli. I suoi virtuosismi, belli e frequenti, non sono mai stati esagerati o inopportuni. La voce di Lolli, i suoi testi, la chitarra di Capodacqua formano un trio così affiatato da sembrare un’unica cosa e dare così tanto colore alle canzoni da dare l’impressione che ci sia un’intera orchestra ad accompagnarle.
La prima parte è stata quella più direttamente politica (“fatemi parlare del potere, poi vi divertirete un po’. Sto aspettando Godot che dovrebbe venire con le ballerine”) nella quale ha spiccato Analfabetizzazione, sia per il testo (originale l’idea del protagonista che, come forma di protesta contro il potere, contesta la semantica) che per la musica (non è un caso che il brano sia tratto da Disoccupate le strade dei sogni l’album dove, insieme a Ho visto anche degli zingari felici, è più forte l’innovazione musicale).
Poi si è passati all’amore (Da zero e dintorni) e all’intimità raccontata attraverso tre padri, uno biologico e due spirituali (Quando la morte avrà, dedicata al ricordo di suo padre; Folkstudio, dedicata a Giancarlo Cesaroni, il fondatore del Folkstudio, e I musicisti di Ciampi, dove si parla di Piero Ciampi, il cantautore scomparso nel 1980).
Il finale è, giustamente, dedicato al brano forse più amato dal popolo lolliano, Ho visto anche degli zingari felici, la canzone che ha segnato la svolta nella produzione di Claudio.
Per i rituali bis, sono state scelte una canzone abbastanza recente, Curva sud, dedicata al genocidio dei musulmani in Bosnia (“se qualcuno ha chiamato Forza Italia un partito politico, io mi posso permettere di chiamare Curva sud una canzone”) e una di vecchia data, Borghesia, forse la più vecchia, visto che risale al primo disco di Claudio, abbellita da un gustoso siparietto, alla fine della stessa, quando spiega di aver sbagliato il finale della canzone dato che, la borghesia, “il vento non l’ha portata via”.
La scaletta della serata:

  • La fine del cinema muto
  • La ballata di Pinelli
  • Analfabetizzazione
  • Adriatico
  • Da zero e dintorni
  • Folkstudio
  • Quando la morte avrà
  • I musicisti di Ciampi
  • Ho visto anche degli zingari felici
  • Curva sud
  • Borghesia